«Il pugilato è una specie di jazz. Più è bello, meno gente lo apprezza.»
George Edward Foreman (Marshall, 10 gennaio 1949) è un ex pugile statunitense. Soprannominato Big George fu protagonista di una singolare e lunghissima carriera – protrattasi dal 1969 al 1977 e dal 1987 al 1997 – nel corso della quale fu due volte campione del mondo dei pesi massimi. Si avvicinò al mondo del pugilato dopo aver vissuto una gioventù difficile e tormentata, conquistando la medaglia d’oro olimpica nella categoria dei pesi massimi a Città del Messico 1968. Passato tra i professionisti l’anno seguente, si affermò subito come uno dei più temibili picchiatori della categoria e nel 1973 conquistò il titolo mondiale detronizzando con facilità l’imbattuto campione indiscusso Joe Frazier. Seguirono quindi due difese del titolo e la sua prima sconfitta da professionista subita nel drammatico Rumble in the Jungle per mano di Muhammad Ali. Inseguì poi senza successo una chance mondiale e dopo la sconfitta nel 1977 contro un poco quotato Jimmy Young si ritirò per la prima volta. A seguito di ciò che lui stesso definì come una teofania cambiò il proprio stile di vita e si avvicinò alla religione, divenendo un ministro ordinato. Tornò quindi sul ring nel 1987 e sette anni dopo, all’età di 45 anni, riconquistò i titoli del mondo WBA, IBF e lineare mettendo KO il ventisettenne Michael Moorer. Ciò lo rese il più anziano campione del mondo nella storia dei pesi massimi, nonché il più vecchio in qualsiasi divisione di peso. Quest’ultimo primato fu poi battuto, 16 anni dopo da Bernard Hopkins. Si ritirò per la seconda ed ultima volta nel 1997, all’età di 48 anni, dopo una discussa sconfitta contro Shannon Briggs. La World Boxing Hall of Fame e la International Boxing Hall of Fame lo hanno riconosciuto fra i più grandi pugili di ogni epoca. Occupa l’8ª posizione della classifica dei più grandi pesi massimi di sempre, secondo la International Boxing Research Organization (IBRO). Nel 2002 è stato nominato tra i 25 più grandi pugili degli ultimi 80 anni dalla rivista The Ring che lo ha piazzato anche al 9º posto tra i più grandi picchiatori di sempre. Nel 1973 e 1976 è stato insignito del premio pugile dell’anno, indetto dalla stessa. A seguito del suo ritiro è rimasto impegnato nel mondo dell’imprenditoria. Negli anni novanta è stato noto testimonial del George Foreman Grill, bistecchiera multiuso che ha venduto oltre 100 milioni di unità in tutto il mondo. Nel 1999 ha venduto i suoi diritti di denominazione all’azienda produttrice per 138 milioni di dollari. Biografia Nato il 10 gennaio del 1949 a Marshall, in Texas, crebbe in un quartiere disagiato di Fifth Ward, a Houston. Il padre biologico Leroy Moorehead era un veterano di guerra e si separò dalla madre Nancy poco dopo la nascita del figlio. Più tardi la donna si sposò con JD Foreman, uomo che per diverso tempo George avrebbe creduto suo vero padre. Complici frequenti liti coniugali e l’assenza quasi totale di una figura paterna Foreman ebbe un’adolescenza turbolenta e numerosi problemi con la legge, venendo frequentemente coinvolto in risse e battaglie fra bande rivali. Nel 1965 entrò a far parte dello Job Corps, un’agenzia del governo americano che promuoveva una sorta di lavori socialmente utili e la riqualificazione professionale dei partecipanti, e per due anni lavorò in Oregon, collaborando ad opere di costruzione e rimboschimento. Durante la permanenza in Oregon, la sua attitudine bellicosa fu causa di continue risse con i suoi colleghi. Fu allora che un istruttore di pugilato, Nick Broadus, intuì le grandi potenzialità del giovane e turbolento Foreman e lo introdusse alla boxe. Egli sognava inizialmente di seguire le orme di Jim Brown nel mondo del football americano ma fu convinto più tardi a focalizzarsi unicamente sul pugilato. Vita personale Nel 1985 ha sposato Mary Joan Martelly. In precedenza è stato sposato quattro volte: con Adrienne Calhoun dal 1971 al 1974, con Cynthia Lewis dal 1977 al 1979, con Sharon Goodson dal 1981 al 1982, e con Andrea Skeete dal 1982 al 1985. Ha dodici figli, due dei quali – Freeda (1976-2019) e George Foreman III (1983) – sono a loro volta entrati nel mondo della boxe. Freeda è stata professionista dal 2000 al 2001, mentre George III è stato attivo come peso massimo dal 2009 al 2012. La figlia Freeda è stata trovata morta il 9 marzo 2019 nella sua abitazione a Houston. Lo stile di combattimento Lo stile di combattimento di Foreman era quello del picchiatore: egli faceva infatti affidamento quasi esclusivamente sull’enorme forza fisica che imponeva senza indugio alcuno per tutto il corso dell’incontro. Martellava al corpo e al volto l’avversario con tutta la sua potenza, concentrato e determinato a sfiancarlo e buttarlo al tappeto con la forza dei suoi pugni. Pochi pugili nel corso della carriera hanno resistito ai suoi pugni terminando in piedi tutto l’incontro. La sua tecnica era spicciola, elementare, attaccava l’avversario, e si chiudeva quando incassava l’attacco. Le sue tattiche quasi pari a zero. Imponeva la sua linea investendo di continui ganci e potentissimi montanti l’avversario senza dargli alcuna tregua. Tale stile di combattimento fece la sua fortuna e si mostrò particolarmente efficace contro numerosissimi pugili affrontati nella sua lunga carriera. Parliamo di pugili anche particolarmente quotati come Ken Norton e Joe Frazier (al tappeto per 6 volte in due round, devastato dai pugni di Foreman), in quanto erano certo pugili di caratura mondiale ma presentavano un modo di combattere molto simile a quello dello stesso Foreman. La poca abilità nello schivare, poco gioco di gambe, e un allungo inferiore a quello di Foreman (come inferiore era presumibilmente la potenza ed incisività anche dei loro colpi), resero così, anche eccellenti e storici pugili quali Norton e Frazier, facili bersagli per la furia di George Foreman. Tuttavia tale stile combattivo mostrò allo stesso tempo i suoi limiti contro pugili particolarmente intelligenti dal punto di vista tattico e particolarmente abili a schivare ed incassare colpi. Uno su tutti Muhammad Ali, che nel famoso incontro “Rumble in the jungle”, schivando ed incassando abilmente i colpi di Foreman, danzandogli intorno ed innervosendolo (tattiche spesso usate da Muhammad Ali) riuscì a stancarlo e fargli perdere sicurezza. Con il passare dei round i colpi di Foreman, per via della stanchezza, iniziarono ad indebolirsi, e perse l’incontro all’ottavo round per knock-out. Carriera La carriera amatoriale e la vittoria olimpica Nel 1967, a San Francisco, disputò il primo incontro da dilettante e lo vinse per KO al primo round. Dotato di un fisico imponente e di una terrificante potenza, secondo alcuni critici senza eguali nella storia della boxe, Foreman già da dilettante si fece notare per le sue rapidissime vittorie e gli impressionanti KO. Vinse con facilità il campionato nazionale dei dilettanti (National Amateur Athletic Union Boxing Championship), assicurandosi così la partecipazione alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968, dove conquistò la medaglia d’oro per la categoria dei pesi massimi, sconfiggendo in finale il sovietico Jonas Čepulis, con una vittoria prima del limite. A quelle Olimpiadi Foreman fu protagonista di un gesto che in patria gli valse molte critiche e gli alienò la simpatia di parte della popolazione afro-americana: dopo aver vinto l’ultimo incontro, rimase per qualche minuto sul ring sventolando una piccola bandiera americana. Pochi giorni prima gli sprinters Tommie Smith e John Carlos, simpatizzanti del movimento politico delle Pantere Nere, durante la cerimonia di premiazione dei vincitori della corsa dei 200 metri, avevano salutato provocatoriamente, ognuno sollevando un pugno chiuso avvolto in un guanto nero, e durante l’esecuzione dell’inno americano avevano giocherellato con le medaglie e sorriso in modo beffardo. Tale clamorosa protesta, tesa a denunciare all’opinione pubblica mondiale il razzismo che caratterizzava la società americana, costò ai due atleti l’espulsione dalla squadra olimpica americana. L’esultanza “patriottica” di Foreman, per contrasto, sembrava esprimere l’indifferenza del pugile texano alle battaglie civili che si stavano combattendo nel suo paese e gli valse l’epiteto di “Zio Tom”. I primi anni da professionista Dopo la vittoriosa esperienza olimpica, Foreman passò tra i professionisti, sotto la guida di Dick Sadler e dell’anziano campione dei massimi leggeri Archie Moore. Nel 1969 disputò 13 incontri, vincendone 11 per KO entro la quinta ripresa e due ai punti. Uno dei suoi avversari, Cookie Wallace, riuscì a resistere solo per 23 secondi alla potenza devastante del texano. La sua marcia inarrestabile proseguì nel 1970, quando vinse per ko 11 incontri su 12 disputati. Tra le vittime illustri il campione canadese George Chuvalo, famoso per le sue eccezionali capacità di incassatore e per non essere mai andato al tappeto in tutta la carriera. Nemmeno Foreman riuscì nell’impresa di atterrare Chuvalo, ma la sua vittoria fu comunque impressionante: KO tecnico alla terza ripresa dopo una serie di colpi durissimi che l’avversario riceveva ormai passivamente. In quell’anno solo l’argentino Gregorio Peralta, comunque largamente sconfitto ai punti, fu in grado di arrivare fino al limite delle riprese previste contro Foreman. Nel 1971 disputò 7 incontri, vincendoli tutti per ko. In California incontrò di nuovo, per una rivincita, Peralta, riuscendo ad imporsi anche su di lui per ko alla decima ripresa. Alla fine dell’anno, con un record di 32 vittorie su 32 incontri disputati, venne classificato come primo pretendente al titolo dalle due federazioni pugilistiche mondiali, la WBA e la WBC. Dovette però pazientare ancora un anno prima di avere la possibilità di battersi per il titolo. Nell’attesa che gli venisse concessa tale opportunità, nel 1972 incontrò 5 avversari che sconfisse tutti per KO entro i primi 3 rounds. Il titolo mondiale e l’apogeo della carriera La conquista del titolo contro Joe Frazier Il 22 gennaio del 1973 a Kingston, in Giamaica, Foreman incontrò Joe Frazier, il campione del mondo in carica, in un incontro valevole per il titolo mondiale. Frazier era un pugile che godeva di molto credito: ancora imbattuto, dominava la categoria dei massimi da quando Muhammad Ali era stato privato del titolo e costretto all’inattività per motivi politici. Aveva poi resistito al rientro di quest’ultimo, sconfiggendolo in un memorabile match combattuto nel 1971, durante il quale riuscì addirittura ad atterrarlo. Nonostante l’indubbio valore dell’avversario, Foreman vinse con una facilità che suscitò scalpore. La sua soverchiante potenza fece apparire quell’incontro quasi un pestaggio, tanto fu a senso unico: già nella prima ripresa aveva mandato per tre volte Frazier al tappeto, e dopo tre ulteriori atterramenti nella seconda, l’arbitro decise di fermare l’incontro. Indimenticabile il colpo che chiuse il match: un montante destro che sollevò Frazier da terra per scaraventarlo al tappeto. Lo stesso Frazier, in un’intervista concessa 10 anni dopo, ricordò con ironia la sua pesante sconfitta: “George Foreman fece di me uno yo-yo”, alludendo al fatto che non appena si rialzava in piedi veniva inesorabilmente rispedito al tappeto. Un campione poco amato Il nuovo campione del mondo, pur rispettato e apprezzato per le sue eccezionali qualità di pugile, non ebbe però la simpatia ed il gradimento del pubblico. Diffidente, scontroso al limite dell’intrattabilità e poco disponibile ad incontrare la stampa, Foreman si trovò ben presto imprigionato nel ruolo del “cattivo” da battere. Le sue stesse rapidissime ed inesorabili vittorie gli conferivano un’aura di quasi disumana potenza e ferocia. Prime vittoriose difese del titolo Il 1º settembre 1973, a Tokyo, incontrò il portoricano José Roman per la prima difesa del titolo. In appena 55″, Foreman atterrò l’avversario per tre volte e vinse alla prima ripresa: l’incontro rimane tuttora il più breve nella storia dei pesi massimi. Foreman e Archie Moore nel 1974. Il 26 marzo 1974 a Caracas, in Venezuela, Foreman affrontò un pugile di ben altra caratura: Ken Norton, che di lì a qualche anno sarebbe diventato campione del mondo. Norton era considerato come lo sfidante nº 1 dopo che, l’anno prima, aveva sconfitto ai punti Muhammad Ali e con un colpo fortissimo lo aveva addirittura atterrato, fratturandogli la mascella. Questo incontro rappresentava dunque il primo vero banco di prova per il nuovo campione e fu seguito con grande interesse: tra gli spettatori erano presenti Muhammad Ali, Oscar Bonavena e Joe Louis che, poco prima dell’inizio, salì sul ring a salutare i due pugili. Il match fu un’esibizione di aggressività e potenza: a Foreman bastò poco per aver ragione dell’avversario e già alla seconda ripresa i secondi di Norton si convinsero che era il caso di gettare la spugna e fermare l’incontro. Qualche anno più tardi, ricordando quegli avvenimenti, Norton disse: “La sera che mi confrontai con lui George fu mostruoso: l’impersonificazione, per cinque minuti, dell’Armata Rossa all’attacco.” Dopo la vittoria su Norton, molti cominciarono a riferirsi a Foreman come al “Marciano nero”, prefigurando per lui un lungo e incontrastato regno sulla categoria dei pesi massimi: la sua esuberanza atletica, la straordinaria potenza dei suoi colpi, la facilità con la quale si era sbarazzato di tutti i migliori pugili in circolazione lo fecero apparire imbattibile. “The Rumble in the Jungle”: l’incontro con Muhammad Ali Un incontro storico Muhammad Ali La successiva difesa del titolo vide Foreman confrontarsi con Muhammad Ali, in uno degli avvenimenti sportivi più famosi della storia: The Rumble in the Jungle (“La rissa nella giungla”). L’incontro ha ispirato il film Rocky III di Sylvester Stallone, il film documentario Quando eravamo re di Leon Gast ed un racconto di Norman Mailer (The Match); secondo Spike Lee avrebbe rappresentato una tappa importante nella storia della comunità nera degli Stati Uniti. The Rumble in the Jungle fu il primo grande avvenimento pugilistico organizzato dal controverso Don King, per il quale costituì una sorta di trampolino di lancio per la sua fortunata carriera. Si svolse a Kinshasa, in Zaire, nello stadio 20 maggio (oggi Stade Tata Raphaël) e fu il primo campionato mondiale dei pesi massimi ad aver luogo in Africa. Il dittatore zairese Mobutu Sese Seko, in cerca di visibilità internazionale, offrì una borsa di 5 milioni di dollari per ognuno dei due contendenti. L’incontro venne preceduto da un festival cui parteciparono molti musicisti afro-americani, tra i quali James Brown, B.B. King e The Spinners. Inizialmente previsto per il 25 settembre del 1974, fu poi disputato il 30 ottobre dello stesso anno, in seguito ad un rinvio causato da un infortunio in allenamento di cui era stato vittima Foreman. La vigilia da grande favorito I pronostici della vigilia vedevano Foreman largamente favorito. Diversi fattori sembravano sostenere tale convinzione: Foreman appariva nel pieno del vigore atletico, mentre Ali, di 7 anni più anziano, sembrava aver intrapreso il viale del tramonto, soprattutto dopo il tentativo fallito di riconquista del titolo; Foreman arrivava all’appuntamento con il considerevole record di 40 vittorie (di cui 37 per KO) su 40 incontri disputati, mentre Ali sempre più raramente riusciva ad imporsi prima del limite; Ali era stato sconfitto da Joe Frazier e da Norton, pugili che erano stati sbaragliati da Foreman nel giro di due riprese. Negli Stati Uniti Howard Cosell, uno dei più popolari ed autorevoli commentatori di pugilato, riteneva improbabile una vittoria di Ali e prefigurava il suo ritiro dal ring dopo l’incontro. Secondo quanto racconta lo scrittore Norman Mailer anche l’entourage dello stesso Ali era pervaso da un grande pessimismo circa l’esito del match. Nonostante il clima di sfiducia che lo circondava, Muhammad Ali non perdeva occasione per ribadire la sua certezza nella vittoria, galvanizzato dall’entusiasmo della popolazione zairese che lo aveva accolto trionfalmente. Inoltre operò una vera e propria campagna di disinformazione annunciando che avrebbe “danzato” sul ring come non mai, rendendosi imprendibile e vanificando così la potenza dell’avversario. Proprio per prepararsi a questa eventualità, Foreman si allenò con sparring-partner particolarmente veloci e mobili, affinando la tecnica di chiudere l’avversario all’angolo. L’inattesa sconfitta Davanti a 100.000 africani entusiasti, l’incontro si aprì con Ali inaspettatamente all’attacco, nel tentativo di cogliere di sorpresa l’avversario con alcuni rapidissimi uno-due al volto. Nei round successivi la costante, implacabile pressione di Foreman incollò Ali alle corde. I colpi fortissimi del campione del mondo risultavano però poco efficaci e non riuscivano a penetrare l’ermetica difesa di Ali. Il pugile di Louisville si era infatti affidato all’inaspettata strategia del rope-a-dope. Foreman, provocato da Ali che lo scherniva e lo insultava, continuava a portare senza sosta colpi rabbiosi e violenti che finivano però sulle braccia o sui guantoni dell’avversario. Il risultato del suo sterile attacco fu che, con il passare delle riprese, era sempre più stanco e i suoi colpi sempre meno potenti e Ali, arroccato nella sua impenetrabile difesa, dava l’impressione di risparmiare le forze e di resistere bene alla violenza dell’avversario. Verso la fine della quinta ripresa, fu chiaro che Ali aveva ormai il controllo dell’incontro, quando lanciò un improvviso attacco colpendo ripetutamente Foreman al volto. L’ottavo round sembrava riproporre il copione delle riprese precedenti, con Foreman all’attacco e Ali chiuso nell’angolo con il volto nascosto dietro i guantoni alzati, quando improvvisamente arrivò l’inatteso epilogo: in un fulmineo contrattacco Muhammad Ali uscì dall’angolo e portò una serie al volto dell’ormai esausto Foreman che, per la prima volta nella sua carriera, crollò al tappeto. Foreman fu incapace di accettare la sconfitta: dichiarò di essere stato avvelenato prima del match e accusò i secondi di Ali di aver deliberatamente allentato le corde del ring per permettere al loro pugile di potercisi appoggiare per evitare i suoi colpi. Solo molti anni più tardi fu in grado di riconoscere che a Kinshasa Ali vinse perché “era, almeno per quella notte, l’atleta migliore”. I pareri di Minà e di Brera In Italia (il match non venne dato in diretta dalla RAI, bensì da Tele-Capodistria, cronista Sandro Damiani), la sconfitta di Foreman fu accolta con una certa perplessità e da più parti si avanzarono dubbi circa la regolarità del match. Per Gianni Minà, appassionato cronista di pugilato ed amico di Cassius Clay, il successivo svolgersi degli avvenimenti dimostrò inequivocabilmente l’infondatezza di tali dubbi: «I soliti critici italiani, che credono sempre di sapere più degli altri, scrissero che il match era stato sicuramente una combine, per poter guadagnare di più in seguito. La storia li smentì senza pietà. L’imbattuto Foreman da quella notte non fu più un pugile. Un anno dopo perse con Jimmy Young e si ritirò (…) Muhammad Ali aveva capito e sfruttato la sua fragilità interiore.» (Gianni Minà – da “La Repubblica” del 18 febbraio 1990) In un successivo articolo tornò sull’argomento, precisando meglio le ragioni che, secondo lui, avevano determinato la vittoria di Muhammad Ali: «Ma Foreman, se aveva forza e potenza devastanti, nascondeva anche una fragilità emotiva che Muhammad Alì aveva intuito e avrebbe sfruttato. George, texano di Marshall, era il tipico ragazzo nero americano che, nell’età dell’adolescenza, aveva trovato un po’ di benessere grazie alla potenza dei suoi cazzotti. Amava il baseball, la Coca Cola, il pop corn e la televisione. Quando fu scaraventato in Zaire per un match che aveva mille motivazioni commerciali, geopolitiche, etniche, non si sentì a suo agio. Non gliene fregava nulla di quello che c’era intorno. Il rinvio di un mese del match, per un suo incidente in allenamento, aumentò il disagio. Muhammad Ali, invece, aveva trasformato la vigilia nel trionfo dei suoi ideali, scoperti prima con Malcolm X e poi con i Black Muslims. Si sentiva a suo agio davanti al fiume Congo, il fiume della tradizione nelle ballate degli ex schiavi d’America, e trasformò questa allegria in una guerra psicologica. Il giorno delle operazioni di peso le sue provocazioni rischiarono di anticipare lo scontro. Foreman fu trattenuto, ma la rabbia lo aveva già sconfitto. “Gli incontri importanti si vincono prima di salire sul ring”, mi aveva spiegato tante volte Clay-Alì. E quell’alba del 30 ottobre del ’74 (il match cominciò alle 3 del mattino per esigenze televisive), Muhammad fu di parola. Fece sfogare la furia di Foreman sulle proprie braccia, chiuso apparentemente in una guardia passiva. C’erano 40 gradi e un’umidità terribile, Muhammad chiamò quella tattica “presa al laccio di un imbecille”. Al 7° round, infatti, Foreman era senza fiato e con le braccia basse, e all’8°, travolto da una combinazione velocissima, crollava.» (Gianni Minà – da “La Repubblica” del 7 novembre 1994) Un’altra prestigiosa firma del giornalismo sportivo che si è occupata della sfida tra Foreman e Muhammad Ali è stato Gianni Brera. Invitato da un lettore ad esprimere un’opinione su chi fossero stati i migliori massimi della storia della boxe, il famoso giornalista colse l’occasione per parlare di Foreman e manifestare i suoi dubbi circa l’incontro di Kinshasa. Per Brera fattori politico-ideologici avrebbero inquinato il match, condizionandone l’esito e finendo per prevalere sugli aspetti più genuinamente sportivi: «Il campione dei massimi che più mi ha impressionato è stato Foreman. Due o tre volte ho chiuso gli occhi al folgorante pendolo del suo uppercut smisurato. A ricevere quei colpi spaventosi era Frazier, che pure avevo visto ammaccare Muhammad Ali. Mio dio, che tremende balista e risultavano i suoi montanti! Poi, misteri della boxe e della negritudine ribelle, Foreman incontrò Ali a Kinshasa, in una notte greve e torbida. Alì aveva dalla sua gli dei della foresta e della savana. Non ho molto capito quell’incontro. Di Foreman non ho veduto un uppercut che è uno. Pareva che l’avessero stregato, che un filtro misterioso ne avesse improvvisamente ottenebrato le facoltà mentali. La negritudine fu soddisfatta a quel modo. Quando nello sport entrano di soppiatto questi veleni ideologici, non si può più seriamente parlare di tecnica: un uomo sensato pensa subito che qualcuno rida di lui a crepapelle, se appena esprime un giudizio che contrasta con la impoetica realtà delle combines e delle torte.» (Gianni Brera – da “L’Accademia di Brera”, “La Repubblica” del 1º luglio 1988) La crisi ed il ritiro Dopo la sconfitta di Kinshasa, Foreman attraversò un lungo periodo di depressione (accentuato dalla scoperta che i suoi familiari avevano scommesso sulla sua sconfitta) dal quale uscì a fatica e solo a prezzo di un radicale cambiamento del suo modo di vivere. Per tutto il 1975 fu lontano dal ring: come lui stesso ammise molti anni dopo in un’intervista, egli trascorse quell’anno tra Parigi e gli Stati Uniti dedicandosi alle avventure sessuali e all’acquisto di auto costose e animali esotici.[12] Il suo senso di frustrazione però non diminuì, ed anzi venne accresciuto dalla scoperta del suo vero padre biologico, il veterano di guerra Leroy Morehood, che Foreman andò a conoscere poco prima che l’uomo morisse. Nel 1976 tornò a combattere e, nel suo primo incontro dopo la sconfitta di Kinshasa, affrontò Ron Lyle, un pugile potente e temutissimo. Fino a quel momento Foreman aveva incontrato avversari che, intimoriti dalla sua potenza, avevano cercato di contrastarlo opponendogli altre qualità (tecnica, esperienza, velocità, maggiore mobilità, ecc.) e comunque affrontandolo sempre con grande cautela; Lyle fu il primo e unico pugile disposto a misurarsi con Foreman sul terreno a questo più congeniale, quello della potenza. Ne risultò un match tanto violento e spettacolare da sembrare quasi una finzione cinematografica. Foreman terminò la prima ripresa barcollando, dopo essere stato colpito da un diretto destro. Nelle due riprese successive i due contendenti continuarono a scambiarsi colpi violentissimi, tanto che arrivarono entrambi stremati alla fine del terzo round. Nella quarta ripresa una combinazione di Lyle mandò Foreman al tappeto. Foreman riuscì a rialzarsi e venne nuovamente investito da una serie di pugni al volto ma, proprio mentre sembrava sul punto di crollare di nuovo, centrò Lyle con un diretto destro mandandolo a terra. Anche Lyle riuscì a rimettersi in piedi ed addirittura a trovare le forze per un’altra serie di colpi violentissimi che abbatterono Foreman per la seconda volta. Foreman si rialzò di nuovo e riuscì a terminare la ripresa. Nel quinto round i due, abbandonata ogni cautela difensiva ed ormai esausti, continuarono a colpirsi con violenza fin quando Foreman chiuse l’avversario all’angolo e portò una successione di colpi al volto di Lyle che crollò per il definitivo KO. Per la rivista specializzata “Ring Magazine” fu “l’incontro dell’anno”. Nel successivo incontro si confrontò ancora con Joe Frazier, imponendosi per KO al quinto round. Entro la fine del 1976 seguirono due ulteriori vittorie, entrambe per KO, contro Scott Ledoux e contro Dino Dennis. Il 1977 fu per Foreman un anno decisivo. Dopo aver sconfitto in quattro riprese Pedro Agosto, incontrò, nell’isola di Porto Rico, Jimmy Young, un pugile poco potente ma molto tecnico e veloce che l’anno precedente era stato sconfitto ai punti sia da Norton sia da Muhammad Ali. Young dominò l’incontro già dall’inizio, grazie alla sua maggiore mobilità, e Foreman giunse alle ultime riprese esausto[20]. Alla dodicesima e ultima ripresa andò addirittura al tappeto, più per la spossatezza che per i colpi dell’avversario, riuscendo comunque a rialzarsi e a perdere ai punti per decisione unanime. La vocazione religiosa Immediatamente dopo la conclusione dell’incontro con Young, nello spogliatoio Foreman fu vittima di un episodio di ipertermia ed ebbe un’esperienza di pre morte. Secondo quanto riferisce nella sua autobiografia (“God in my corner”) si sarebbe ritrovato, disperato e solo, in un luogo di desolazione e paura e qui avrebbe udito la voce di Dio che gli imponeva di cambiare vita e di rivolgersi alle opere di bene. Segnato profondamente da questa esperienza, operò un radicale cambiamento nella sua vita: smise di combattere, fu ordinato ministro di culto di una chiesa di Houston, in Texas, e aprì, nella stessa città, un centro di assistenza a giovani problematici che porta il suo nome, il “George Foreman Youth Center”. Per i successivi dieci anni si dedicò solo alla sua numerosa famiglia, ai suoi parrocchiani, allo studio del Vangelo e alla predicazione. Il rientro e la riconquista del titolo mondiale George Foreman, 2007 I motivi del rientro Nel 1987, dopo 10 anni trascorsi lontano dal ring, Foreman annunciò il suo rientro nella boxe, all’età di 38 anni. Nell’aprile di quello stesso anno un altro grande pugile, Sugar Ray Leonard, l’ex campione del mondo dei pesi medi, tornò a combattere dopo 5 anni di assenza per sfidare il campione del mondo in carica, Marvin Hagler, assicurandosi una borsa di 11 milioni di dollari. Per Foreman, invece, ci sarebbero stati, almeno all’inizio, avversari poco quotati e guadagni modesti. Invitato a spiegare i motivi del suo rientro, disse: “Per Leonard è solo una questione di soldi, una “botta e via”. Anche per me il denaro ha una sua importanza, ma secondaria. Io voglio tornare ad essere campione. Ho un piano per i prossimi 3 anni: ricominciare dal fondo, allenarmi più di chiunque altro, combattere una volta al mese. Non si può avere tutto e subito.”. Nella decisione del rientro pesarono anche motivazioni economiche: nei suoi 9 anni di professionismo Foreman aveva guadagnato circa 10 milioni di dollari, di cui gli rimaneva, però, ben poco. “Ho predicato e ho costruito il “George Foreman Youth and Community Center”. L’anno scorso un mio amico cominciò a chiedere in giro 400 dollari di cui avevamo bisogno per portare avanti un nostro progetto. La cosa mi imbarazzò. Decisi allora di andarmi a guadagnare i soldi che ci servivano. Il pugilato è una professione onorevole. Mi dissi: vai a guadagnarti qualcosa e rimani in pace.”. I primi vittoriosi incontri Foreman rientrò sul ring nel 1987: da quel momento combatté mediamente una volta ogni 45 giorni per riabituarsi al combattimento sul ring. In tale periodo (5 febbraio 1988) sconfisse per Ko tecnico anche il campione italiano Guido Trane, sebbene questi fosse avvantaggiato da ben 10 anni di età in meno. Solo nel 1990 incontrò un avversario di vero spessore: l’ex pretendente alla corona mondiale Gerry Cooney, sconfitto nel giro di due round. Questo match decretò l’effettivo status di possibile pretendente alla corona mondiale di Foreman. E nel 1991, ad Atlantic City, si tenne l’incontro George Foreman – Evander Holyfield, allora campione mondiale. Big George perse per decisione unanime. Due anni dopo e tre match interlocutori vinti per KO, Foreman ebbe una nuova possibilità contro Tommy Morrison per il titolo dei pesi massimi WBO vacante. Anche questa volta Foreman perse per decisione unanime, ma in un match comunque competitivo. Conquista del titolo e ultimi anni Dopo la sconfitta contro Morrison, Foreman non tornò più sul ring. Nonostante questo fu designato sfidante ufficiale del campione del mondo Michael Moorer, detentore delle corone WBA e IBF. La scelta di far ricadere lo status di sfidante su Foreman fu anche dovuto al particolare momento che la categoria dei pesi massimi stava attraversando: Mike Tyson stava scontando la condanna per stupro in prigione, Evander Holyfield e Riddick Bowe avevano un match programmato fra di loro e Lennox Lewis stava cercando di ricostruire la sua carriera dopo l’inaspettata sconfitta contro Oliver McCall. L’incontro si svolse a Las Vegas nel 1994 e venne inizialmente dominato dal veloce Moorer. Foreman non combatteva da un anno e mezzo. Inizialmente in svantaggio sui cartellini, alla decima ripresa riuscì a penetrare la difesa del campione con un preciso diretto sinistro seguito immediatamente da un destro che scosse pesantemente il campione. Nel corso della stessa ripresa Foreman riuscì a piazzare la medesima combinazione e Moorer crollò al tappeto senza riuscire ad alzarsi prima del “dieci” dell’arbitro. Foreman, a 45 anni e 9 mesi, diventò il più anziano campione mondiale dei pesi massimi di sempre, record tuttora imbattuto[senza fonte]. Poco dopo la WBA lo privò del titolo, in seguito al suo rifiuto di affrontare lo sfidante designato Tony Tucker. Nel 1995 difese il titolo contro Alex Schultz, vincendo ai punti in 12 riprese. Da questo incontro Foreman poté fregiarsi di un’altra corona mondiale, messa in palio in questo match dalla neonata WBU, altra federazione minore nata nel marasma di scissioni che colpì l’organizzazione mondiale della boxe tra gli anni ottanta e novanta. Poco dopo tuttavia, la IBF lo privò del titolo per il suo rifiuto a concedere la rivincita a Schultz. Difese il titolo WBU altre 2 volte, nel 1996 a Tokio, contro Crawford Grimsley, vincendo ai punti per decisione unanime (nell’occasione si fregiò della corona di un’altra federazione neocostituita, la IBA) e nel 1997, ad Atlanta, vincendo ai punti per decisione non unanime contro Lou Savarese. Il successivo e ultimo incontro fu nel novembre 1997, all’età di 48 anni e 10 mesi, in un match non valido per nessun titolo contro Shannon Briggs. Foreman fu sconfitto ai punti per decisione non unanime, risultato questo molto contestato in quanto ritenuto non veritiero e parzialmente ingiusto nei suoi confronti. Dopo il match dichiarò il suo ritiro definitivo. Gli avversari italiani Nel corso della sua carriera, Foreman si è misurato due volte con pugili italiani. Da dilettante incontrò nella semifinale delle Olimpiadi di Città del Messico del 1968 l’allora ventitreenne Giorgio Bambini, postino di La Spezia. Forse anche impressionato dalla fama di implacabile picchiatore che già allora cominciava ad accompagnare Foreman, Bambini venne colpito duramente già al primo deciso attacco portato dall’avversario e si trovò con un ginocchio per terra. Alle esortazioni dei tecnici azzurri Rea e Poggi che lo imploravano di rialzarsi, Bambini avrebbe in seguito risposto: “Fossi matto, quello mi ammazza”. Comunque, essendo stato sconfitto in semifinale, Bambini ottenne la medaglia di bronzo, una delle poche medaglie ottenute dallo sport italiano in quelle Olimpiadi. Vent’anni più tardi, nel febbraio del 1988, incontrò a Las Vegas Guido Trane, all’epoca campione italiano dei pesi massimi. Fin dall’inizio del match Foreman riuscì ad imporre la sua maggiore potenza e Trane venne fermato dall’intervento del medico a 2′ 39″ della quinta ripresa per ferita all’arcata sopraccigliare e al naso.[senza fonte] Dopo il ritiro Dopo il suo ritiro Foreman è rimasto impegnato in attività di imprenditoria, principalmente nel settore alimentare e vestiario. Alla scomparsa di Muhammad Ali nel giugno 2016, Foreman ricordò il pugile di Louisville come una profonda influenza nella sua vita e lo definì come “il migliore di tutti i tempi”. Curiosità Ha ispirato il personaggio di Clubber Lang, pugile antagonista nel terzo film della saga di Rocky. Nel sesto film della saga Rocky Balboa, l’incontro di Rocky contro Mason Dixon è paragonato al suo match mondiale contro Michael Moorer del 1994. Il cronista all’inizio dell’incontro di Rocky commenta così: “Se il vecchio George Foreman scioccò il mondo con un pugno, perché non potrebbe farlo anche il vecchio Rocky Balboa” (2006). Nel 1999 ha recitato in un cameo nella parte di se stesso nel film Incontriamoci a Las Vegas Appare nella puntata Il Bender furioso della serie TV Futurama dove fa il commentatore di un incontro di pugilato Ha preso parte al film Una notte al museo 2 impersonando se stesso