“NON MOLLARE MAI RENATINO”
Grande appassionato di boxe, in carriera ha combattuto 105 match sul ring. Per tanti anni ha lavorato in Darsena come viceconsole del porto.VIAREGGIO. «Non mollare mai». Era un mantra mutuato dal pugilato, sua passione di una vita intera, quello che Renato Arturo Ghilarducci – per tutti semplicemente “Renatino” – ripeteva sempre a se stesso e a chi aveva intorno. Stavolta però, all’età di 85 anni, è stato lui a dover mollare gli ormeggi, complice una serie di problemi di salute che negli ultimi mesi erano diventati sempre più pesanti da sopportare. Nato il 7 settembre del 1934 a Viareggio, Renato Ghilarducci ha avuto una vita non facile, con l’adolescenza rovinata dalle vicende della guerra e con la tragedia di una delle due sorelle scomparsa prematuramente con cui dover convivere. Lui però, carattere generoso e fisico d’acciaio, aveva affrontato ogni genere di difficoltà con coraggio e passione. Caratteristiche che probabilmente aveva coltivato grazie alla boxe, lo sport che aveva cominciato a praticare fin da ragazzino, e che lo ha portato a combattere in carriera la bellezza di 105 sfide. Già, il pugilato. Nonostante fosse uno sportivo a tutto tondo (è stato anche dirigente di alcune squadre di calcio amatoriale come il mitico Bar Charlie e il Maxicono), Ghilarducci ha legato il suo nome a quello della noble art versiliese. Dapprima come promettente atleta, poi come dirigente e organizzatore. Così quando – dopo essersi sposato alla fine degli anni Cinquanta con Lerida Andrei, sua compagna di una vita – sono nati nell’ordine i figli Mirco, Stefano, Massimiliano e Alessandro e ha dovuto lasciare la boxe, ha messo su una scuola pugilistica viareggina insieme ad un gruppo di amici appassionati come lui (fra questi Alberto Del Carlo, suo grande amico), con allenamenti nella palestra ricavata all’interno dello Stadio dei Pini e match talvolta organizzati in Pineta, come avveniva in quegli anni gloriosi. Granitico sul ring, nella vita Ghilarducci era un uomo generoso e di cuore. E non a caso è stato un attivissimo volontario, collezionando – come amava ripetere – più donazioni di sangue che mach di pugilato e ricevendo per questo importanti riconoscimenti. Sul fronte professionale, Renato Ghilarducci aveva lavorato a lungo in Darsena come vice console al porto, quando Viareggio era ancora un attivo scalo mercantile. Anche se era dovuto andare anticipatamente in pensione a causa di un brutto incidente sul lavoro nel quale aveva rischiato davvero grosso. Meno nota – e per certi versi perfino sorprendente per come siamo abituati ad immaginare un pugile – anche una passione letteraria coltivata soprattutto negli ultimi anni, quando aveva iniziato a scrivere poesie. Renato Ghilarducci lascia la moglie Lerida, la sorella Fiorella, i figli Mirco, Stefano, Massimiliano e Alessandro, le nuore e un piccolo esercito di nipoti a cui era affezionatissimo. E proprio due dei quattro figli – Massimiliano e Alessandro – hanno ereditato dal padre la passione per la boxe, ed hanno portato avanti una palestra a Capezzano Pianore dove si pratica il pugilato. Mentre Mirco è stato una promessa del full contact. (Claudio Vecoli – Il Tirreno)